Perversioni

"Sempre la solita strada" borbottò "Ogni giorno la stessa cazzo di strada." La sua voce, troppo alta per un uomo che cammina da solo in via delle Petunie, rimbombò. In lontananza un cane abbaiava e Riccardo odiava i cani che disturbano tutto il quartiere per un cazzo, per un bambino che passa, per uno scoiattolo del cazzo o per qualsiasi stronzata che gli si pari d'avanti; anche da piccolo, non aveva mai chiesto un cane a sua madre, solo un rospo, perché l'aveva visto vivisezionare in tv e, come per ogni bambino di otto anni, squarciarlo in due era l'unica cosa interessante che si potesse fare in una calda estate come quella. Anche questa estate era piuttosto calda, aldilà dei muretti si sentivano i grilli cantare le loro canzoni ed ogni tanto si riusciva anche a vedere una di quelle ormai rarissime lucciole.
Riccardo aveva sessant'anni quasi, ma la barba e i capelli erano l'unico segno canuto di un corpo giovane, un metro e settanta scarsi per 52 kg di magrezza e ossa; anche la forma del viso, sempre ben rasato e con la chiara barba rada, lo faceva sembrare giovane, quasi un trentenne. Era solo la voce roca di chi fuma da quando aveva 8 anni che lo fregava. Suo padre che ubriaco, tornando da casa, gli offriva sigarette e vodka, un ricordo opaco nella sua mente.
Girò a sinistra, verso la scuola media; a quest'ora finivano i corsi pomeridiani per chi doveva recuperare materie e le ripetizioni di musica per i bambini. Si fermò sul cancello e aspettò fumando cinque sigarette, una dopo l'altra; attese, prima ancora che le luci iniziassero a spegnersi una ragazzina di quattordici anni al massimo corse verso di lui che stava già spegnendo la sigaretta col piede sinistro facendole segno di sbrigarsi.
"Arrivo arrivo!" Sorrise lei, sorpassandolo e infilandosi nel bosco.
"Celere." Il suo fu un sussurro, un rantolio nel buio che ormai scendeva sulla cittadina di campagna, nella provincia più recondita di Pavia, fra le risaie.


Passò mezz'ora. "Ho fame." Disse borbottando Giovanna.

"Anche io." Sfiancato, Riccardo, si alzò dal letto. Non sopportava i suoi mille capricci.
"Dai, Riki, andiamo a prendere una pizza..."
"Lo sai che io non esco con te, Jissa." Così voleva essere chiamata lei.
"Sì, lo so, allora vado a prenderla e torno qua."
"Qualcuno potrebbe vederti."
"Farò in fretta." E si alzò anche lei dal letto per mettersi la giacca.
"Smettila cazzo." Urlò. Giovanna si risedette sul letto, con gli occhi che divennero subito lucidi. A Jissa non piaceva essere rimproverata da Riccardo, le ricordava suo padre, che l'aveva rimproverata così spesso. 'Non così, lo fai male, sei una troia.', frasi che non uscivano dalla sua testa facilmente.
"Amami." Gli chiese, in un singhiozzo. Ma Riccardo non era interessato a lei, non l'ascoltava, rifletteva e discuteva coi suoi demoni. Guardò la cucina, il suo maniacale senso dell'ordine; l'uniche cose visibili in casa sua erano i vestiti di Giovanna. Quanto cazzo è fastidioso che quella piccola troia lasci ovunque le sue cose di merda? Respirò un attimo. Buttando fuori l'aria la sentì borbottare di suo padre, di violenze e delle solite quattro cose. Che vita di merda.
Si sollevò, andò verso il frigo, prese una mezza cipolla ben conservata e una carota e fece un soffritto. Aprì una bottiglia di vino rosso, ne mise un po' via per il sugo e il resto in tavola, con due calici. Giovanna piangeva sul letto, accovacciata; borbottava e singhiozzava. Ma Riccardo non lo notò neanche, il suo cuore non aveva molte intenzioni di battere per lei, lei era solo una ragazzina molto bella. Una ragazza che non era mai stata vergine nella sua vita, neanche nella testa, malata. Ma anche lui sapeva di essere malato, di avere più di un problema.
"Non potresti uccidermi? Come fanno tutti gli altri maniaci?" Ancora borbottò, da due mesi, sempre le stesse frasi.
"Io non sono un maniaco. Cazzo.." La odiò ancora. "Quante cazzo di volte te lo devo dire?" Urlò.
"Certo, quindi non aspetti ore sotto scuola le ragazzine, vero?" Iniziò ad urlare anche Jissa, mentre Riccardo iniziò a chiudere tutte le finestre, come durante tutte le discussioni giornaliere. Arrivava in quella casa, fresca come una rosa, una bambina, e se ne andava come una puttana malata, con problemi da puttana malata. Continuò lei: "Ti metti lì, sporco pervertito, offri le sigarette alle ragazzine, le guardi mentre ti ignorano. Sei viscido, sei schifoso, sempre a leccarmi i piedi, a morderli.." In un secondo lui fu di lei, le mise una mano sulla bocca e lei cercò di morderlo, di dimenarsi, ma lui era su di lei e la stringeva sul letto, contro il materasso, l'altra mano la teneva ferma. Gli occhi di Jissa passarono da arrabbiati a spaventati.
Lui li guardava fissi, con l'acquolina in bocca.

Commenti