Le donne non Cagano

No, non è vero. Lo sguardo cadde su quelle scarpe rosa pallido, col tacchetto, piene di fiocchi, poggiate sul bidet; i calzini beige spuntavano col loro ricamo. Salendo alle gambe leggermente abbronzate, non troppo perché non è elegante, e a quelle belle cosce, un pelo da tirar via. Lo strappò con le unghie, subito dopo aver poggiato la sua copia dell'Internazionale sul termosifone. Si pulì il culo, con garbo, diede un occhiata a ciò che ne uscì per poi saltare sullo stesso bidet su cui si poggiava e lavarsi, quel bel culo, con un detergente mentolato: come masticare una gomma senza usare la bocca. Sollevandosi, annusando l'aria, con lo sguardo di disgusto, tirò lo scarico e spruzzò del deodorante, mentre già si allontanava a falcate. "Diosanto, che puzza." sussurro involontario. Questa roba non può uscire da me, che merda, che tanfo; non posso essere stata io. DIOSANTISSIMO. Pensò guardandosi allo specchio. Sistemò il vestito a fiori, elegante ma non vistoso sul suo corpo piccolo e tonico.
"Le donne non dovrebbero cagare, non sono fatte per cagare. Io non ho cagato. Defecato, che brutta parola è 'cagare'? Una donna come me non dovrebbe neanche pensarle certe parole." I pensieri che le attraversarono la testa furono quelli per tutto il tragitto. Una donna così raffinata, sui ventisei anni. Bella, come ce ne sono poche; intelligente ed obbiettivamente piena di garbo. Scese le scale dall'appartamento, salutò il portiere e lasciò un sorriso, di quelli che ti allietano la giornata. Che brava donna, pensò, a regalare così i miei magnifici sorrisi. Benevola. Nell'autobus, nel tram e, in fine, nella metro, allietò la giornata a centinaia di romani; che benevola a scegliere i mezzi pubblici, anche se tutti le offrirebbero il taxi, lei scelse i mezzi: per l'ambiente. E per farsi guardare.

Arrivò. L'appartamento che ancora non aveva mai visto, ma sarebbe stato quello il giorno. Il giorno del "Ti Amo", lei lo sapeva. Succedeva sempre così. E lei non la dava; fino al ti amo non la dava, da brava donna quale era. Salì al terzo piano in ascensore, bussò, subito dopo aver mandato un messaggio. Ed eccolo, davanti a lei. Bello, non bellissimo. Di certo non la meritava. La serata passò in fretta, fra champagne e una cena raffinata: lui che faceva il cuoco, no, lo chef.
L'accompagnò sul terrazzo, la città inchinata ai suoi piedi, ancora la luce del tramonto perché lui era abituato a mangiare presto.
"Mi sballerà il metabolismo, questa cena, signor chef.." scherzò lei quando lui l'invitò, la settimana prima.
"E non solo." fu la risposta, maliziosa, dietro il calice di vino del ristorante che lui dirigeva.
Lei seppe che stava arrivando il momento, quando lui la fece scorgere dalla ringhiera, per cercare di intravedere il Colosseo, ma fuori visuale. E poi fu un secondo.
La mano di lui sul braccio, alla mano, il tirarla a se, il bacio, il sussurrare quel ti amo a labbra strette, il sentimento, un bacio di lei. Lo stendersi a terra, spogliarsi con desiderio, l'ansia della prima volta, il preservativo in mano. La penetrazione, il mugolare di lei, dolce, da gatta. Il sesso romantico, poi più acceso. Il venire di lui, forse troppo in fretta. Il chinarsi di lei, la lingua, la gola, ed il penetrarsi ancora, ancora. Il venire di lei, il venire di lui, lo sperma che inquina. E il corpo di lei, così perfetto sotto la luna e le stelle, profumato ancora. Lo star nudi, stretti ed in silenzio, quell'imbarazzo romantico. Il fiatone che pian piano va scemando. Una campana.

"Le dieci e mezza?" Lei si raddrizzò, senza pudore, senza vergogna, in quel caldo luglio sul terrazzo. "Ma è incredibilmente tardi." Parole quasi sussurrate, come una ninna nanna. Con piccoli passi si portò alla sua borsa ed ad uno specchio, da dove lui poté ancora osservarla, mentre si rivestiva. Piano si ripulì dal trucco sfatto e rimise il mascara, ed un rossetto poco più rosato del colore delle sue vere labbra.
"Domani lavori, come al solito?" un tono di rammarico, nella sua voce.
"Esatto, se è lavorare stare otto ore in un asilo e non ricevere niente più di un sorriso." lei sorrise, con quell'ironia dolce che la contraddistingueva da tutte le altre che lui conosceva.
"Resta."
"L'asilo è così distante da qui, non riuscirei mai coi mezzi.."
"Ti pagherò un taxi." insisté.
"Neanche per sogno, sai.." e fu interrotta.
"Sì, l'ambiente."
"Ti amo anche io." e gli stampò quel rossetto sull'angolo delle labbra, lui si placò, era soddisfatto così, dall'amore. Quindi è così che ci si sente? Ad essere innamorato ci si sente così? Pensieri.

Lei corse dal terzo piano giù per le scale, a piedi. E corse alla metro, al tram ed al bus. Tornò all'appartamento che non le apparteneva. Salutò ancora il portiere, che le diede delle chiavi. Salì in ascensore, verso l'attico. Scorreggiò. In ascensore. Fortunatamente l'odore non l'uccise. Arieggiò con la mano. "Dio santo." indignata da se stessa. Aprì la porta.
"Amore? Sei in casa?" Una melodia, la sua voce. Come sempre.
"Sono qui, in soggiorno." Ma palesemente l'uomo le corse in contro. Lei si diede un'occhiata nello specchio, aggiustò il rossetto. "Eri ancora a lavoro, dolcezza?"
"Sì, caro" e lui le arrivò davanti e la baciò. "ho orari stressanti. Ho lasciato qui gli orecchini di mia madre? Credo di averli persi. Li avevo ieri, li ricordi? Di Chanel."
Ovviamente non li aveva notati. "No, è passata alle sette la cameriera, me lo avrebbe detto. Ci tenevi molto a loro?"
"Oddio sì, mia madre ne morirebbe se sapessi che li ho perduti.." le mani a coprire il viso preoccupato.
"Al massimo te li ricomprerò, amore" la rassicurò lui " o li faremo fare su misura."
Lei lo abbracciò, il telefono nella sua borsa vibrò. "Deve essere lei." Prese dalla borsetta il suo telefono. Lo guardò, mostrando che non aveva nulla da nascondere. Ma lui non fece nesusn movimento, si fidò di lei, ancora una volta.
"Non dormi qui, amore?"
"Oh, caro. Sai che non posso. Mia madre ha l'Alzheimer e io.. " Non finì, lesse un ennesimo messaggio. "Scusa, devo andare." e si ripeté la scena. Un bacio, all'angolo delle labbra.
Scese con l'ascensore. Ho voglia di vederti, di sentirti, di scoparti. Che messaggio, era già bagnata. Corse fuori senza degnare di un'occhiata il portiere 'sta volta. La lussuria chiamava. Corse fino all'autobus. Poi subito una metro e ancora un autobus. Rispose al messaggio, impaziente. Un 'Arrivo' veloce.
Sua madre era morta anni prima, non le aveva lasciato niente, se non due occhi luminosi e una gran abilità nei pompini. Troia. Lei ruttò, prese una caramella dalla borsa. Si sistemò il rossetto e bussò alla porta della villetta. "Sono io." La porta si aprì e attraversò il giardino.
Qualcosa senti, nella sua pancia, un movimento. Stupida digestione. Stupido chef, stupido riccone, stupido uomo geloso. Spense il telefono, e fu pronta.
Una donna elegante come lei doveva sempre essere pronta.

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