Ho rubato il tuo nome.

 "Amore? Andrea..Amore?" la polvere negli occhi non le permette di vederlo neanche lì, a pochi metri da lei. Gli occhi bruciano, il respiro è affannato, ma fra i versi involontari, il senso di vomito e la tosse, ancora riesce ad urlare il suo nome. 
"Andre, dove sei?" Poco distante, ancora incastrato nell'auto, totalmente distrutta e sottosopra, fra il tanfo di benzina e l'odore di ruggine del sangue, Andrea è svenuto. Ma piano piano stringe gli occhi, riesce a svegliarsi con quella voce: nella vita vera non serve il bacio del vero amore, basta il suono della voce di Caterina. 
"Cate.." un sussurro, un respiro. "Caterina.." 
 Il fumo si sposta, mosso dal vento e appesantito dalla pioggerella primaverile, in quel tepore di un pomeriggio di marzo, almeno il tempo, almeno quello, aiuta il poco fausto evento. Non permette alle scintille di scoppiettare, e bagna il viso di Caterina, in modo da farla riprendere in fretta, e pulirla da quella maschera di sangue e fango; la infetta piano, la primavera, e i fiori di prato sorridono allegri, mentre l'olmo, offeso, si piega col vento. Caterina inizia a percepire il mondo in cui si trova, non è più ovattato. Cerca di guardare la scena, di capire come abbia fatto ad arrivare così distante dalla macchina. Prima di ragionare sul mettersi in piedi inizia a strisciare. Ora la voce è più piena. "CAZZO, Andrea, rispondimi quando ti chiamo. Cazzo."
 Nell'erba verde si fa strada, come un bruco, con tanta adrenalina da non rendersi conto di quanto bruci ogni muscolo, ogni osso, ogni centimetro di belle. Giunge alla macchina e lo vede. A testa in giù, viola e rosso, sporco di sangue, il codino lungo che scende dietro alla sua testa, a dare un'immagine di lui quasi divertente, come quei piccoli gnomi pieni di capelli che andavano di moda negli anni novanta, quando loro a malapena si conoscevano. 
 "Cate." un respiro, ancora, la sua voce; un sospiro. Le lacrime - miste al sangue - a rigargli il volto, le tempie, cadendo dalla fronte, assurdo, come un dipinto surrealista. 
 "Andrea, amore mio." La forza di Caterina si trasforma, come un uragano, in pianto isterico. "Amore, amore mio, che abbiamo fatto? Che è successo? Amore mio." Mille parole, un fiume, mille singhiozzi. Andrea chiude gli occhi, infastidito da quella voce stridula, acuta, come delle unghie su una lavagna, si trasforma, la voce della donna che ama, nella peggiore tortura della sua vita. 
 "Zitta." Sussurra, e le strappa un sorriso. 
 "Scusa, amore. Scusa.." Tenta di fermare le lacrime, scusandosi senza motivo. 
 "Guardami." Sussurra ancora lui, mentre cerca di riprendersi. Caterina non ha la forza di alzare gli occhi, ma deve. E' un medico. Il forte odore ferroso non è mai stato un problema per lei, che ha sempre amato guardare all'interno delle persone, capire cosa c'è oltre alle emozioni; lui, invece, Andrea, è un sognatore. Alzando gli occhi ci pensa, mentre la pioggia diventa più rada, a quanto sia dolce il suo Andrea; a quanto ci tenesse in quella stupida domenica, ad andare al lago a mangiare un gelato mano nella mano con la sua 'dolce moglie', come la chiamava sempre. E così avevano fatto, un pomeriggio al sole, fermato troppo presto dalla pioggerellina che era ormai alla fine del suo percorso, giusto una goccia ogni tanto e una nuvola solitaria.
 Come temeva, la portiera della macchina si è sformata, finendo contro il busto di suo marito, della sua anima gemella, dell'unica persona che le abbia mai davvero voluto bene, dopo il suo papà, che l'aveva cresciuta da solo, abbandonato da una moglie troppo giovane e troppo libertina. Ora pensa al suo papà, a quanto sia distante da lei, dopo aver scelto consapevolmente di studiare in una città lontana, a Milano, lasciandolo a marcire a Sassari, dopo tutto ciò che lui ha fatto e continua a fare per lei. 
"Cazzo, Caterina, parla." La voce si fa un po' più forte. 
 "Dobbiamo chiamare ambulanza e pompieri, Andrea.." Improvvisamente tutte le sue nozioni di medicina sono scomparse, sei anni persi, più altri sei di specializzazione. Non c'è più nulla. 
 "Non riesco a prendere il telefono.. ne a muovere le braccia.." Lui, invece, è freddo, razionale, inizia a ragionare, a pensare. Ma non ha nessun controllo del suo corpo, se non della bocca e degli occhi. Riesce a malapena a muovere il collo, mentre sente il sangue che, sempre più, pompa al cervello. Gli gira la testa, ma non può svenire ora. Caterina non c'è, Caterina non ce la fa senza di lui. Cerca di ricordare cosa sia successo. Solo una macchia nera che li prende in pieno. Cerca di ricordare dove si trovino, cosa possa essere successo. Poi si rende conto. Il lago, le curve. Il suv che li ha presi in pieno non c'è nella sua visuale. Che sia finito nel lago? 
"CATERINA CAZZO." Urla, guardando quegli occhi azzurri sempre vispi, ora persi negli occhi, quei capelli ricci, oggi ingrumati di sangue e fango. Caterina non reagisce, ma si rende conto che lui abbia di nuovo la voce. Gli prende il braccio e lui non riesce a ritrarlo, prova a sentirgli il polso. E' debole. 
 "Non puoi urlare, amore mio." Ora la voce di Cate è paragonabile al suono di un fantasma, un suono gutturale, sospirato. 
"Dove avevi il telefono?" Lei teme di incontrare i suoi occhi. 
 "Sto così male?" 
Andre prende coraggio e cerca di piegare il collo verso il bacino ma le mani di Caterina gli afferrano la testa, con un urlo acuto che rimbomba nella silente campagna: "NO amore. Non muoverti" 
Le lacrime diventano pianto isterico. Dal busto in poi non c'è niente. Si potrebbero contare i minuti di vita che gli restano. Il sangue che danzando scende sulle geometrie complesse della macchina. Le mani restano sul viso insanguinato, e la presa stretta diventa una cauta carezza. 

"Non lasciarmi, amore." Anche lui inizia a piangere, con la barba piena di sangue e le orecchie che si tingono di porpora, come gli occhi. "Tu non mi devi lasciare, amore. Continua a parlare." 
"Non sono un paziente, amore, dimmelo.. sto morendo?" Singhiozzi, lacrime. 
Lei scuote la testa così forte da sentire il cervello che sbatte e rimbalza. Un senso di vomito. "Non puoi lasciarmi oggi.. Dobbiamo fare troppe cose.. Dobbiamo vedere troppi posti, non posso farlo da sola; ci sono troppe cose che devi spiegarmi.." La voce viene bloccata da un suono. Un telefono che vibra. Caterina lascia il viso bagnato e cerca di alzarsi in piedi. Le vertigini e il senso di vomito vengono contrastati dalla voglia di agire, che finalmente torna. 
 "Continua a parlare, tieni la voce alta." Comanda, cercando la fonte del suono; si muove nel prato, ma il suono rimbomba. Si allontana lentamente. 
 "Sì." Ha voglia di combattere, Andrea. 
"Caterì. Tu lo sai che ti amo. Ma vorrei dirtelo ancora una volta: non sai quante volte ho pensato 'sto discorso; non sai quante risate immaginavo che ti saresti fatta mentre te le dicevo. Ho anche provato a scrivere qualche lettera, magari sfruttando quel pezzo di laurea in lettere antiche che non mi è mai servita." Parlare così velocemente, a testa in giù e con la bocca impastata di sangue e polvere non è facile. Ma lui lotta. 
 "Ce, se morissi senza dirti che sei l'unica donna che mi ha fatto capire che è l'amore sarebbe stupido, anche se è ovvio, sì, alla fine ho sposato solo te. Però on abbiamo mai fatto un figlio, ma non perché non lo desiderassi, ti giuro. Ce, volevo uno stipendio un po' più sostanzioso di quei Trecento euro che mi danno; non volevo fossi tu a comprare la culla e i pannolini; volevo farlo io, come voglio essere io quello che paga quando usciamo, anche se sei tu che paghi tutte le robe a casa; che merda di marito. Avrei fatto meglio a tenere il bambino mentre te lavoravi." 
Caterina trova un iphone nel parto, non sai di chi sia; il prato è vuoto. Ha solo il 15% di carica ma il GPS acceso. "ASPE." Urla, mentre compone il 118. Andrea non si ferma 
"Ed ora mi trovo qui, a morire, mentre te piangi per me, dopo che non ti ho dato niente, se non tutto ciò che avevo, amore." La sua voce è sempre più fioca, sempre più bassa. Sempre più assente. 
 "Pronto?" Caterina piange, ora di felicità, camminando più veloce che può, tenendo il telefono con la sinistra, perché la destra le sembra slogata. Il nervo sulla tempia che pulsa, sicuramente presenta lesioni interne più gravi di ciò che ha fuori. Ma l'adrenalina è tornata. E' rassicurata, per un secondo, dal fatto che probabilmente morirà prima di Andrea, non vuole vederlo morire. Torna a piangere. 
 "Pronto", continua. "Salve, sono Caterina Berni, ho fatto un incidente in macchina col mio ragazzo, sono sul lago maggiore. La macchina è sottosopra, il mio ragazzo è bloccato dalle lamiere, che " sospira e ricomincia a piangere "probabilmente gli ha segato in due il corpo, perde sangue dalle orecchie e dagli occhi." 
Cerca di non usare una terminologia specifica, sa quanto i dottori odino chi pensa di sapere ciò che succede. "Ho il GPS acceso, le posso mandare la posizione precisa." E la manda, alla sua collega che ha il turno in pronto soccorso. Sa bene cosa sta succedendo. "Sì, lavoro in ospedale. Ho 34 anni, il mio raga.. scusi, mio marito ne ha 32. Ci vorrà molto, no vero? Credo che le sue condizioni siano..." 
Il pianto la interrompe. Gravi. L'unico senso che da a questa parole, in questo momento, è il contrario di acute. Non riesce a capire come quella parola possa in alcun modo rappresentare altro. 
"Scusi, chiudo." E' vicina alla macchina, in piedi per la prima volta, quasi diritta. La guarda, si gira per cercare la strada, il dirupo, il lago. C'era un'altra macchina? Non ricorda bene. Si inginocchia, ma il dolore le fa perdere l'equilibrio e cade sull'erba. La testa gira, si piega sul fianco e vomita. Si pulisce la mano, mentre si rende conto che non c'è più la voce di Andrea. 
"Amore?" Si affaccia velocemente al finestrino e c si infila dentro. Il cielo è tornato limpido. Questo lasso di tempo, nessuno dei due riesce a rendersi conto di quanto sia stato, sembra un minuto, forse dieci, o quattro giorni, non è chiaro. Ma è chiaro l'occhio vitreo spalancato di Andrea, che boccheggia, pieno di sangue, frasi d'amore. Si guardano, oggi come la prima volta alla serata universitari. Si sorridono. 
 "Non voglio lasciarti." Le parole di lui sono chiare. "Non mi lascerai mai." 
Gli risponde, stringendogli la mano, e lui sente quel calore, un'ultima volta. "Sarai sempre con me." Si sorridono ancora, per quanto il sorriso di lui risulti sottosopra, lei lo riconosce, come sempre. Si infila dentro la macchina, sfregando la pancia contro i vetri e le macerie. Lo bacia, e sente la sua flebile risposta. 
 "Ti amo, sempre, da sempre, Cate." "Anche io, Andrea." Gli occhi non riescono a staccarsi. Il telefono ricomincia a vibrare. Una chiamata, ma non esiste niente oltre loro. Due anime leggere che danzano nel vento, si librano nell'aere e flutuano, innamorate. Il suono dell'ambulanza si avvicina, ma più si avvicina lei, più si allontano loro. Senza chiudere gli occhi neanche per un secondo, lasciando che le mani si intreccino e non si lascino mai. 
 "Non solo hai fatto abbastanza, amore mio, hai fatto tutto il possibile." 
 "E se non ci fosse niente, dopo?" 
 "Ci saremmo io e te." 
 "Se morissi tu dovresti risposarti." 
 "La vita non ha senso senza di te." 
 "Non dovresti prendere la pillola, amore, così avresti un pezzo di me che ti sosterrà sempre." 
 " E poi il tuo nome sta bene sia a un maschietto che ad una femminuccia." 
 "E poi quando morirai, vecchia e brutta, rinascerai anche tu, e io sarò un uomo anziano; e saremo una di quelle coppiette strane, con lui vecchio e brutto e lei giovane e carina.." 
 "Ah, ecco come è possibile. Le anime affini si trovano sempre." 
 "Tu non credevi nell'anima o sbaglio?"
 "Io credo in noi, amore" 


 "Ti amo tanto, amore mio, quasi quante sono le stelle in cielo.." 
 E lei lo derise, mesi prima, nel letto stretti, facendo discorsi che sembravano lontani, assurdi, da coppietta appena sposata, quale erano e resteranno per sempre.

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