La maledizione della Luna



Erano dieci anni che ci conoscevamo, e nove che eravamo amici, quel giorno: l'anniversario della nostra amicizia; come ogni anno mi presentai sotto casa sua in motorino ma, per la prima volta, in lacrime, lacrime di coccodrillo. Robbie corse giù dalle scale, sentivo il frastuono dei suoi grandi anfibi distrutti dalle sue passeggiate solitarie, le sue gambe pesanti sul marmo della villetta. Uscì dalla porta e corse da me, stringendomi, e io piansi più forte e mi lasciai stringere con le braccia rigide mentre invano tentavo di trattenere quei singhiozzi. Sentii il suo odore, l'odore del mio amico, entrarmi dentro, passare attraverso i vestiti e calmarmi. Solo Roberto aveva il potere di calmarmi senza urlarmi addosso, avevo sempre pensato che avesse un potere, che buttasse fuori dai pori della sua pelle degli ormoni come quelli che si usano quando porti il gatto dal veterinario. Istintivamente, a questo pensiero, risi e lo strinsi anche io. Lui mi scostò, ma senza lasciarmi, per guardarmi.
"Vuoi spiegarmi?" mi chiese, con la sua voce bassa e calda, come quell'abbraccio che mi stava ancora intorpidendo il cervello.
"Auguri." Singhiozzai, cercando di nascondermi di nuovo nel suo abbraccio, ma lui me lo impedì.
"No, cretinetta. Tu mi spieghi, adesso." E mi separò da quell'abbraccio che non volevo finisse mai.
Ricominciai a piangere e cercai di raccontargli ciò che voleva, omettendo l'unico particolare che davvero forse gli interessava. Gli raccontai di come avevo litigato col mio ragazzo, dopo cinque anni di relazione, iniziato certo a diciassette anni, per gioco e per ripicca, ma divenuto poi serio ed importante, unico e delicato, come una bella orchidea. Gli raccontai senza fiato di come mi aveva mollata, con mille motivazioni incoerenti e poco veritiere, di come io l'avevo accettato, sopportato, ma avevo pianto con lui; gli dissi quanto era stato difficile per me farmi lasciare senza poterlo impedire, senza avere nulla da dire, io, che avevo una parola per ogni cosa.
"Come nulla da dire?" Mi interruppe, mentre mi teneva una mano calda sulla coscia, in piedi di fronte a me, seduta sul mio motorino. Sapeva esattamente che io non ero il tipo che sta muto, sapeva quanto ci tenessi a lui. Ricominciai a piangere.
"Aveva tutte le ragioni del mondo." singhiozzai, mentre ormai avevo finito le lacrime e gli occhi mi bruciavano quasi quanto il cuore. "Non potevo contestare."
Robbie scosse la testa perplesso e si allontanò un secondo, poi mi guardò negli occhi e per un secondo vidi, o pensai di vedere, qualcosa di diverso in quel verde smeraldo, ma scomparve subito.
"C'è qualcosa che non mi stai dicendo." Affermò, senza dubbi, conoscendomi bene da troppo tempo per sbagliare.
"No." La mia risposta parve tradirmi, troppo veloce, troppo fredda, troppo gracchiante.
"Senti, Adelaide. Siamo amici da quanto?" iniziò con la voce tremante. " Nove anni oggi, no?" Se l'era ricordato e il mio cuore batté forte. Lui non aveva mai festeggiato con me il nostro anniversario, mi prendeva in giro per questo. Era un novembre estremamente freddo, il fumo uscì dalle sue labbra e dal mio cervello.
"Nove anni oggi." Confermai, scendendo dalla moto e aprendo il sellino. Presi un pacchetto e glie lo diedi, come ogni anno, quasi come ogni anno, non gli avevo mai spiegato questa mia piccola tradizione di portargli dei biscotti, forse aveva iniziato a farci caso. Glie li diedi, con una timidezza che non ricordavo di avere. Roberto prese il pacchetto e lo aprì, vide i soliti biscottini a forma di cuore, pieni di burro e gocce di cioccolato. Ne morse uno e mi porse l'altra metà. Rifiutai e ricominciò a parlare.
"Come puoi pensarmi di nascondere qualcosa, cretina?" Fu così strano il suo tono, davvero arrabbiato, per una volta, quasi furioso. "Io ti conosco, ormai. So quando stai male, lo sento. Come si chiama, empatia? Io ti sento. Sei parte di me." In un secondo il mio cuore impazzì d'ira. Che cosa mi stava dicendo? Perché in quel momento? Perché ora? Sta succedendo davvero? Il cuore si fermò in gola e spinse fuori lacrime amare e pesanti. "Non voglio farti stare male, non voglio farti piangere, ma lo so che tu non sei così, tu a lui ci tieni, si vede che lo ami..."
"No." Lo interruppi ancora, con un urlo che rimbombò nel parcheggio vuoto. Robbie sgranò gli occhi e mi guardò con la bocca aperta, ancora una scintilla sconosciuto nei suoi occhi, e immaginai di riconoscerla. "Io non l'ho mai amato, Ro'. Gli voglio solo un mondo di bene e ho sbagliato a fargli credere che fosse amore." La voce fu più volte spezzata dai miei singhiozzi, dalle lacrime ma non dall'emozione. Ero totalmente apatica, fuori di me, fu un pianto d'inerzia, impossibile da fermare. Ma questo stato svanì subito: lui mi si avvicinò e mi strinse di nuovo, riempiendomi del suo calore. 
"Ti capisco." disse solo in un sussurro, bloccato fra i miei capelli. Lo sapevo che mi capiva, anche lui per otto anni era stato con un'altra ragazza che non amava. Si mise con lei quando io cambiai scuola e riuscivamo a vederci solo a novembre, il 23 novembre, per il nostro anniversario, e lui per anni mi chiese perché potevamo vederci solo il 23, ma non gli risposi mai. Lui non mi parlò mai della sua ragazza, mi chiamava ogni settimana da nove anni, ci vedevamo quasi tutti i venerdì sera con gli amici e mi parlava di sé, dei suoi problemi, della famiglia, ma mai di lei; diceva di volerle bene ma quando, mesi prima, si erano lasciati non fece altro che dirmelo con semplicità. E da lì tutto era cambiato, aveva iniziato a vederlo più spesso, a volerlo vedere ogni giorno, a scrivergli tutto, a parlargli di ogni cosa. Io lo amavo da sempre ma avevo provato a rimpiazzarlo con un altro che non aveva niente di lui, che neanche con il sesso riusciva a darmi ciò che lui mi dava con un sorriso.
Smisi di piangere lo salutai mentre risalivo sulla moto ma lui me lo impedì. Mi mise una mano sulla spalla e lì sentii come la morte che mi attraversò il corpo, col suo gelo, con la sua mano mi prese il cuore e lo strinse così forte da far male, ma anche caldo. Sudori freddi.
"Sono qui, lo sai." Mi disse, con uno sguardo strano che mi penetrò affondo, nell'anima. 
"Ti amo." Mi uscì tremante dalla bocca, mentre ero immobilizzata dal gelo e me ne pentii nel secondo in cui i suoi occhi verdi si cristallizzarono di una punta di luce e gli mancò il fiato. Scappò. Lo guardai, lo fissai, mentre si girava e correva via con quegli anfibi pesanti con cui di solito scalava le montagne, saliva sul picco de mio cuore, calciandolo e martellandolo. Le lacrime scorrevano, dure come sassi. Misi il casco e corsi via, più lontano che potevo, accelerando al massimo e piangendo, mentre mi infrangevo contro il vento e contro la barriera del suono, cercando di seminare i sentimenti. Inutilmente.
Finii la benzina nel bel mezzo della campagna, non sapevo dove fossi e neanche quanto fosse carico il mio telefono, poiché lo spensi senza pensarci, sapevo solo dove non volevo essere e cosa non avrei voluto aver detto.
Divenne buio e ancora non riuscii ad avere il coraggio di riaccende l'iphone e chiamare l'unica persona che sarebbe potuta venire a cercarmi. Alle 19 e 30 era quasi totalmente buio e accesi il telefono, le vibrazioni iniziarono ma non lessi i messaggi, composi solo il numero.
"Dove cazzo sei finita, cretina?" Iniziò a urlare. A dire parole a raffica che non ascoltai.
"Ho finito la benzina, sono vicino l'AGIP prima dell'autostrada." E chiusi. Avevo guidato per due ore, ma avevo iniziato ad allontanarmi dalla città solo da mezz'ora, sapevo sarebbe arrivato entro le otto. Ma le luci della macchina mi accecarono ad una velocità spaventosa dopo neanche cinque minuti, sapeva già dove venire a cercarmi, probabilmente. Non aveva portato la benzina, quindi mi fece segno con gli abbaglianti e si diresse verso la pompa non troppo lontana. In dieci minuti era tornato, con la tanica, riempì il serbatoio senza parlarmi, prese la moto e se ne andò. Andai verso la sua macchina che aveva le chiavi ancora inserite nel cruscotto e guidai al caldo, seguendolo. Guidò veloce, ed io ero stanca, quindi lo persi e lo ritrovai sotto casa mia, che aveva già parcheggiato e mi aspettava. Dal suo sguardo capii che non avrei potuto lasciare la macchina, allora passai semplicemente nel posto del passeggero e misi la cintura. Roberto entrò e guidò, tornando fuori dal nostro paese, neanche troppo grande.
"Vedi.." Iniziai a scusarmi ma lui mi impedì di parlare.
"Vorrei tu stessi zitta, almeno finché non arriviamo." La sua voce era agitata, ma il suo sguardo non era severo, anzi, traspariva dolcezza, allora alzai il volume della radio e rimasi, per una volta, in silenzio.
Arrivammo in cima ad un colle vuoto e desolato, mise il freno a mano e uscì, venendo verso di me. Uscendo dalla portiera, mi offrì la mano e il mio cervello si perse per un secondo. Sapevo ciò che mi avrebbe detto. Restiamo amici, lo sapevo, o no? O magari mi amava anche lui? O voleva provarci? O avremmo distrutto tutto scopando in macchina?
Non importava niente.
Robbie mi prese per mano e mi portò verso il panorama del lago, mi strinse da dietro e mi bacio la testa. Io rimasi zitta, pur sapendo che avrei potuto parlare. Mi girai e lo baciai sulle labbra. Lui rispose, chinandosi appena dopo aver capito. E mi baciò esattamente come speravo, dolcemente. Poi più passionale, sempre un po' aggressivo, come era il suo carattere. Un bacio senza confronti con quelli che avevo dato prima. Roberto mi strinse forte a sé in una maniera diversa dal solito, sentii il suo sesso che premeva contro di me, il suo petto stretto al mio, il suo morso sul collo, il suo fiato addosso. Urlai.
"Cosa?!" Sbottò, agitato da ormoni e ansia. "Che ho fatto adesso?"
Il mio sguardo terrorizzato lo spaventò. Traumatizzata, non riuscivo a spiegarmelo neanche io.
"Parlami, Adelaide. Che ho fatto?" Si avvicinò e mi ritirai come una lumaca col sale. "CAZZO." Urlò e mi spaventò ancora di più. Perché mi aveva portata lì? Perché subito?
"Questo non è una film, Adelaide, la vita non è come i tuoi libri, sveglia." Sbottò con un tono irritante. "Cosa vuoi che ti dica? Che voglio scoparti? L'ho sempre voluto, da nove anni, Adelaide, te ne sarai accorta. Ho sempre voluto te, da sempre. E te l'ho detto in tutti i modi, con ogni metodo, cosa non ti è chiaro?" Il suo urlare si unì ad una camminata insensata da lei alla macchina, feroce. "Checcazzo vuoi da me? Mi ami, mi dici che mi ami. E io? Devo dirti anche io? Sarà pure ovvio, Adelaide, ciò che voglio. Sei tu, in ogni modo e solo mia, perché credi che abbia mollato Sabrina? Perché credi l'abbia tradita con ogni tipa che mi si parava davanti? Perché l'unica che mi interessasse stava con quel coglione del mio grande amico delle elementari." 
Mi venne incontro, il mio cuore era fermo e non capivo. 
"Adelaide, io ti amo da troppo tempo per continuare a corteggiarti, ora che possiamo ti voglio. Non posso trattenermi." Una bestia. Non era il mio amico, era una bestia. Ma perché allora anche io lo desideravo così tanto? Cosa mi fermava? La Paura che scappasse? Lui non l'avrebbe fatto. Stava ancora urlando addosso a me quando mi riavvicinai a lui levandogli la maglietta. Lui si spogliò in fretta, era nudo in un secondo e già mi laccava il seno, mentre mi levava il reggiseno. E mi succhiava i capezzoli e mi tornò un dubbio. Lo volevo davvero? Così?
Tirai su il suo viso con le mani, lo baciai sulle labbra e lui mi sollevò stringendomi a sé e a quel poco che gli rimaneva addosso, un paio di mutande. E ciò che rimaneva a me, un paio di jeans.
Mancava poco ma Robbie si fermò. Mi levò i jeans e io guardai il suo ventre, vedevo spuntare la sua eccitazione, sotto la luce fioca. Mi spogliò e mi guardò nuda da lontano, mentre mi mettevo comoda, pronta a farlo con lui. L'erba mi pungeva e vidi il mio amico, o ex amico, prendere la sua giacca e stendercisi sopra, quindi lo raggiunsi e mi misi su di lui ma lui mi mise al suo fianco, nuda e iniziò a guardarmi sotto le stelle, un po' a me e un po' a loro, lassù, luminose. Mi strinse a sé e così feci anche io. 
"E' così che la immaginavo.." iniziò. "La mia dichiarazione d'amore a te, io e te nudi sotto la luna." Alzai gli occhi e trovai i suoi, profondi che non mi perdevano. Lo baciai. Lui mi strinse. Erano le quattro e mezza del mattino quando mi svegliai, ancora nuda, stretta a lui. Mi rivestii e tornai accanto a lui, per risvegliarlo.

"Robi.. E' quasi l'alba." lo scossi piano, era così strano fare con così tanta dolcezza una cosa che solevo fare con ironia e scherzo. Quando aprì gli occhi e lo vidi sorridermi, in un secondo, senza trattenerci, senza riflettere, facemmo l'amore. Non pensammo ai preservativi, alle gravidanze, al freddo o al nome Stefano, che ti avremmo voluto dare. Ci amammo come ci eravamo sempre amati e ti desiderammo come ti abbiamo sempre desiderato.

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