Il collo

Quel collo che profuma di passione, di estate, di mare e salsedine, quel collo fra le sue mani era l'unico desiderio che potesse avere. L'ossessione di sentirne l'odore addosso, di Lei, gli faceva girare la testa. Mancava così poco, ma anche tantissimo, mancava l'infinito in quei venti minuti di treno. Vederla era il sogno, il desiderio; vederla era l'unica cosa a cui riusciva a pensare. E l'autobus sembrava andare così lento sull'autostrada, illegalmente lento.

Nel frattempo lei controllò il contorno storto del rossetto rosso, che lui aveva detto di amare: lo aveva messo per la prima volta e si guardava nello specchio perplessa. Rifece il contorno con la matita appena comprata e che continuava a temperare, insoddisfatta per l'imperfezione. Imperfetta, ma bella, quel giorno i suoi dieci chili in più non li sentiva. Aveva indossato quel vestito comprato mesi prima e mai osato. Ma quel giorno tutto sembrava diverso.
Per entrambi.

Mentre l'autobus usciva dall'autostrada Daniele ebbe un attacco di panico, la signora accanto a lui osservò i suoi occhi azzurri spalancarsi, mentre tossiva forse, respirava a fatica ed infine vomitava nel sacchetto di carta. Qualche pacca sulla spalla, mentre lo aiutava a calmarsi. Era arrivato. Era davvero arrivato.

Mariella ed il suo vestito nero in pizzo che stringeva al petto erano in auto, lei e la sua soddisfazione: lei ed il suo ego. Non si era mai sentita così bella, ma neanche così debole e
vulnerabile. Era in largo anticipo, così da dover fare un giro lunghissimo per arrivare in stazione, ma arrivando comunque con venti minuti d'anticipo. Gli mandò un sms che lui non poté leggere, poiché stava vomitando. L'assenza di risposta le causò un senso di inquietudine: lui non è su quel bus-lui non esiste-gli faccio schifo-ha solo scherzato con me-non gli piaccio-mi sta deridendo; tutto questo perché io faccio schifo, si ripeté, sì.

Daniele scese bianco, pallido, da quel bus. La vide ancora in macchina e gli occhi di lei si illuminarono di una luce che avrebbe abbagliato nella notte più di un faro, accecando il capitano della barca e costringendolo a buttarsi contro gli scogli. Lei uscì senza cappotto, nel gelo di fine novembre, con il suo abitino stretto. Lui andò da lei e mentre camminava tutte lo guardavano. Il suo sorriso sfatto dal mal d'autobus era ammaliante, i capelli biondi un po' arruffati e le mani in tasca. Quel lungo cappotto grigio scodinzolava sul suo corpo magro, la camicia nei pantaloni eleganti e le scarpe di camoscio lo rendevano estremamente affascinante, con le occhiaie pesanti, bello, bello. Dannato.
Mariella si sentì immensamente piccola, immensamente brutta guardandolo andare da lei come un angelo maledettamente finto, dannato. Lei, con il grasso ovunque, con i capelli terribilmente neri e spessi, i denti storti e giallastri, le unghie mangiate. Ma lui l'aveva scelta, ed avvicinandosi a lei la strinse nell'infinità di un abbraccio che non deve dire niente, che non deve giustificare, o spiegare.

Andarono a casa e lei guidò sotto gli occhi attenti di lui, stanchi, che le fissavano il collo, l'abbondanza. Poche parole. Pochi pensieri. Silenzi infiniti.

In un attimo erano in casa, affamati di se stessi, di loro, di unirsi. Lui fu nudo e perfetto, il corpo magro macchiato dalla luce che veniva dalle tapparelle, nella stanza d bambina di lei, con i fiorellini sorridenti che li guardavano scopare. Lei perse la verginità con un colpo violento, ma non fece male, poiché lo voleva davvero. Lui si nutrì del corpo abbondante, se ne riempì le mani e la faccia. La possedeva come se fosse sua, e lei si sentiva così. Fece ogni cosa che le venisse chiesto, ne fu schiava. Finito quel momento indescrivibile era nuda al centro del letto dei genitori. Si domandò se le avessero scritto, era ormai buio.

Lui era in balcone con addosso solo il cappotto e fumava la sua sigaretta con quel sorriso che pareva quasi un ghigno. La guardò e tornò a fissare le luci della città: nel posto in cui abitava lui c'erano solo vacche, pensava.



Mariella si addormentò per un'oretta e quando riaprì gli occhi lui non c'era.
Un sogno? Non era mai arrivato? No. Era tutto vero. 
Si alzò, vide nello specchio il suo corpo grosso, ma quasi le piacque, dopo aver visto gli occhi di lui che la guardavano si sentiva bella.
Ma dov'era? Per un secondo si rese conto di non aver parlato con lui e sentì bruciare il suo corpo, fra le gambe. Vi era del sangue.  Si ripulì nel bagno dei suoi e rimise la biancheria intima sexy che aveva comprato per lui, ma che non aveva notato.

«Dani?» disse, affacciandosi al corridoio. Camminava fingendosi sicura del suo essere nuda, ma non lo era. Non lo trovava. cercò per casa. Lui non c'era, neanche in balcone. Era andato via.
Mariella scoppiò in un pianto disperato. Cadde sul pavimento di marmo. Usata. Si sentì usata. Le aveva detto di desiderarla davvero, aveva mentito? Sì. Andò a buttarsi in doccia per circa un'ora.
Non avevano parlato.
Non avevano avuto la possibilità di baciarsi, lei si era offerta subito.
Non gli aveva fatto capire quanto fosse dolce, quanto lo amasse. Di amore disperato.
Non si erano baciati romanticamente come aveva pensato. 
Non avevano passeggiato fieri, mano nella mano, nelle vie del corso.
Cosa avrebbe detto alle sue amiche?
Cosa avrebbe giustificato quella sparizione?
Lacrime enormi si confusero con l'acqua della doccia.
Finito di piangere, sporca del peccato, prese il telefono. Fra i vari messaggi c'era anche il suo, le esplose il cuore. Forse era solo uscito? Ma nessun aveva suonato al suo citofono. C'era solo una faccina sorridente. Non capì.
Gli scrisse un messaggio nel quale si sfogò.
Sei uno stronzo, una merda, mi hai usato, fai schifo. Lungo e denso di odio.
Inviandolo sentì suonare al citofono. Un velo gelido le coprì il corpo, sudò freddo.
«Si?» 
«Sono io» rispose Daniele. Lei aprì senza proferire parola. Lo avrebbe letto?


Daniele salì i dieci piani in ascensore, lesse il messaggio due volte.
Entrò in casa e lei non parò, avrebbe voluto che lui la baciasse.
Lui la stringe, le annusò il collo. 
Era tornato.
Daniele prese un piccolo soprammobile di vetro e glie lo diede in testa.
Lei svenne fra le sue braccia, ma era impossibile sostenerla. 
Non le aveva mai voluto bene.
Prese un coltello da cucina e la finì.
Profumava di cioccolata.

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