Storia di un Assassino

Ogni giorno è come il precedente, tutti da dimenticare, mentre stai morendo di tumore al pancreas e si sono tutti arresi tranne te. Come se tu non avessi fatto di tutto per loro nella tua vita, ti abbandonano al tuo ultimo cocktail di farmaci, per non soffrire più; perché tanto, pensano loro, tu non stai ragionando da giorni, ormai. Ma in realtà tu ci sei, lì fra loro, e stai lottando; ma loro non te lo permettono, e quel liquido è già al braccio, nella vena, nel tuo sangue. Ormai lo senti: stai morendo. E lo sai, le forze di abbandonano. Saranno minuti senza agonia fisica, ma un guerriero che vuole lottare e viene buttato giù dai suoi compagni, perde due volte. 
Pagine che si sfogliano alla fine della propria vita, anche i bei momenti; diploma e laurea, da quanto tempo non ci pensava; le feste, il matrimonio, le gemelle, la vita di Giorgio era stata piena, ma non troppo. Solo un ricordo non trovava, in quel grande libro illuminato e sempre meno sfocato. L'assassinio. 
Era il 22 Agosto del 1938 e Giorgio si era appena diplomato nel liceo classico del suo paese. Sapeva esattamente cosa voleva dalla vita, studiare giurisprudenza e fare carriera in politica, così da guadagnare abbastanza soldi da portare avanti il suo sogno, di un'Italia diversa, un'Italia unita da Nord a Sud, senza sprechi, senza guerre, senza questo senso di differenza che si sentiva al confine. La campagna profumava ancora di viole e l'aria frizzante arrivava dal Monte Grappa. Una guerra se l'aspettavano tutti. 
Ma fu solo parecchie estati dopo che, al fronte, successe. Giorgio era appena tornato da un permesso di licenza nella sua dolce campana veneta, dove aveva visto le sue figlie per la prima volta, le gemelle; nel cuore c'era ancora quel tepore dell'amore della famiglia, e non l'odio della guerra, la paura, il terrore. Lì, al fronte, il tepore non se lo ricordava nessuno, ma il lavoro di quel giorno era solo controllare i piccoli commercianti che passavano il confine: niente di più tranquillo. 

Erano le tre di pomeriggio quando il carro trottò verso di lui, immerso nel verde; il contadino sembrava preoccupato, "Non si faccia spaventare dalla divisa.." Intimò Giorgio, di buon umore. Ed il contadino tacque. "Cosa trasporta?" chiese il compagno tedesco, un brav'uomo, Hans dal-cognome-impronunciabile. Il contadino , ora visibilmente spaventato, restò fermo, continuando a portare il carro verso di loro. Giorgio afferrò le briglie del cavallo, mentre Hans si avvicinò tenendo in posizione il fucile carico. I suoi capelli biondi, abbastanza lunghi da cercare di fuggire dall'elmetto, per un secondo si mescolarono allo sfondo dorato del grano. Hans aveva due figlie bellissime, anche lui, di tredici anni, già promesse a ufficiali tedeschi, con gli occhi dello stesso colore di quelli del padre; blu intenso, come il cielo all'imbrunire, profondi come l'eternità. 
In un secondo, Hans sparò al carro, uccidendo uno dei due partigiani, e il secondo dopo, spietato, uccise il contadino. Il sangue esplose ovunque, sporcando la campagna, inquinandola, e arrivò sul viso di Hans che fiero sorrise, con un sorriso bellissimo, e si voltò verso Giorgio. 
La famiglia di Giorgio era una famiglia di partigiani, probabilmente sarebbero stati fieri di lui. 
Creò tre tombe di tutto rispetto, con delle croci, aiutato dall'unico sopravvissuto del carro, un ragazzo molto giovane che pianse per tutto il tempo, mentre intrecciava ghirlande di fiori fatte con l'avanzo di quel sentimento del focolare di casa sua. 

Ancora non ricorda come lo uccise, ma solo la violenza e il sangue, immagine placata dal tepore delle gemelle. Chissà se anche Hans aveva ripensato, senza ricordare, a tutti quelli che aveva ammazzato, prima di morire.

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